Vigasio 26 12 11

Ill.^mo Comm. Giulio

Ho ricevuto la di Lei lettera a Milano venerdì scorso, dove mi recai accettando un invito di Denelli per asssistere alla première di Rosmunda.

Sabato, prima di partire, desideravo ossequiarla, ma non fui fortunato. Dalle 2 alle 3 telefonai tre volte e alla quarta mi si rispose che Ella era in studio, ma impegnato, e che non poteva ricevere alcuno.

Rinunciai a malincuore al piacere di salutarla e di augurarle tante belle cose.

Ma spero di potere fare un’altra visita affrettata, quanto prima.

Affrettata perché non posso perdere tempo.

Ella mi dice che, per ora, si prende ancora la responsabilità di continuarmi la solita mensilità.

Io intanto Le rispondo che da Lei non potevo aspettarmi diversamente e La ringrazio con tutto il cuore.

La responsabilità che Ella dice di prendersi mi consola.

Perché dimostra che Ella pure ha fede nel mio lavoro.

Fede che io ho sicura e incrollabile e che mi permette davanti a Lei di prendermi io pure una responsabilità morale, garantendole colla più assoluta sicurezza l’esito, diciamo pure trionfale, che l’opera dovrà

avere. E’ temerario asserire ciò, ma sento che sarà così.

E il suo successo non sarà una cosa momentanea, ma dovrà durare lunghi anni, per l'organismo massiccio difficilmente intaccabile e per la nobiltà dell’intendimento artistico.

Ma guai dimenticare una cosa commendatore!

Lo sbaglio della scelta del teatro e degli esecutori può essere fatale. Parlo

naturalmente dell’esordio. Ella lo sa più di me. Ricordo che molto tempo fa, così parlando, Ella ebbe ad esprimersi in modo confacentesi col mio pensiero: La Scala! Ora io aggiungo che con un lavoro di questa indole, in quel teatro andremo a colpo sicuro.

Lanciata così l’opera, come si lancia un siluro prepotente, nessuna forse saprà più arrestarne il cammino.

Abbia fede, commendatore, come l’ha il suo affezionato e devotissimo

I Montemezzi

Verrò ad ossequirla fra non molto e parleremo.