Date: 14/09/1834



Place: Milano

ID: Bellini_34



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Milano 14 settembre 1834

Sr M‹aest›ro Vincenzo Bellini

Parigi

La vostra lettera del 4 corrente è sì offensiva, che non so come abbiate potuto scriverla ad un amico che conoscete da tanti anni, ad un uomo che vi ha dato continue e non dubbie prove della sua onestà, e che in un lungo periodo di carriera commerciale non ebbe mai da nessuno una accusa sì sanguinosa come è quella che voi gli vibrate, giacché mi accusate nientemeno che di aver fatto de’ contratti della Norma di nascosto, a mio solo profitto e a danno di voi e di Lanari, proprietari della medesima. La sola risposta che dovrei fare a tale lettera sarebbe quella di riportarvi al conto che ho dato a Lanari, già due e più mesi delle mie operazioni, e sdegnando di spendere una parola di più, dovrei io stesso rinunziare ad un’amicizia cui non arrossite di porre per prezzo la discolpa d’una turpe azione, che non dovevate mai e poi mai supporre in me. Ma conoscendo il vostro carattere vulcanico, che presto si lascia infiammare da speciose denunzie, ed amando io voi con più intensa e vera cordialità, che voi non amate me, ho preferito, non di discolparmi (che l’uomo onesto non ha bisogno di discolpe) ma di esporvi le cose come stanno realmente, onde veggiate quanto foste ingannato, e qual torto vi faceste nel correre addosso all’onesto Ricordi, al vostro amico sincero di tanti anni, con sì crudele ingiuria.

Voi vi siete dimenticato che d’accordo con Lanari mi lasciaste in deposito una copia della Norma, perché ne facessi commercio per conto vostro, persuasi ambedue che, essendo io conosciuto nel mondo musicale come proprietario di un grande archivio di spartiti, e possessore di tutte le novità, le imprese ed i negozianti si sarebbero naturalmente a me diretti anche per questo spartito, come di fatto avvenne. Non mancai all’occasione di scrivere a Lanari sulle dimande che mi venivano fatte, e preferii scrivere a lui, come quegli ch’era più vicino di voi, risparmiando così a voi anche delle inutili spese. Lanari onorando (più che voi non fate) la mia lealtà, in più lettere lasciò a me un pieno arbitrio di trattare, e specialmente nella sua lettera 19 aprile scorso. Io nei miei avvisi musicali (che molti ne pubblicai contro i contraffattori di spartiti, spinto anche dall’amore che porto al vostro talento che dalle false copie veniva denigrato) e nelle mie lettere private non mancai mai di accennare che la proprietà della Norma era di Lanari e vostra. Ad onta però che girino delle false copie, ne girano anche delle vere, e voi stesso, se ben vi rammentate, coglieste un tale che stava copiando dal vostro originale la Norma, e Lanari in varie lettere mi accennò anche di conoscere altri ladri dello spartito. Intanto o dalla vera o dalla falsa Norma, tutti i teatri, anche i più piccoli d’Italia, non che poi i teatri primari di Spagna, Portogallo, Berlino, Germania, ecc., furono inondati, ed io, io solo che potevo al par degli altri, procurarmene una copia e farne commercio con mio sommo profitto, me ne astenni, sì per non pormi sulla strada dei Lucca, degli Artaria e dei Bertazzi, sì perché Bellini e Lanari conservassero sempre per me quella stima che è il più caro tesoro a cui agogno.

In questo stato di circostanze, Morlacchi da Dresda mi scrisse che un tale aveva offerto a quella direzione la Norma a piccolo prezzo, e mi avvisò di aver egli risposto a quella Direzione che già teneva una mia offerta, e che non trovava motivo di dipendere da altri, quando da me era sicuro d’avere i veri spartiti; in conseguenza mandai a Morlacchi una lettera in cui gli scriveva, che le copie che giravano in Germania erano false, che il solo Cicimarra, ne possedeva una vera, ma che per patto corso con voi non poteva servirsene che pel teatro di Vienna, e gli chiedeva per una copia da servire pel solo teatro di Dresda fiorini 200. Che la copia che voi mi faceste mandare al Cicimarra, gliela avete data alle condizioni suddette, è cosa positiva, perché me lo diceste voi stesso, e me ne confermava in quel tempo Lanari con lettera 27 gennaio 1833. Che poi seguissero altri trattati fra voi e Cicimarra, io doveva ignorarlo, massime che Morlacchi nelle sue prime lettere mi portava dei prezzi assai inferiori a quelli di cui secovoi si vantava il Cicimarra. Colsi l’occasione che mio figlio si recava a Lipsia per mandargli lo spartito, e dalla lettera che in seguito mi scrisse Morlacchi, che vi includo, vedrete come sulle false asserzioni del Cicimarra, voi avete malmenato me, vostro antico amico.

Circa poi all’affare di Torino, ecco come fu la cosa. Artaria di qui, che forniva quella nuova impresa di spartiti, le diede la falsa Norma così male in arnese, che non era possibile il proseguir nelle prove. Consul, impresario, venne in persona a Milano, e si rivolse a me, non senza un certo timore per aver egli sempre sdegnate le mie offerte. Considerando dentro di me che se io negava lo spartito (che doveva andare in scena fra breve) egli o bene o male si sarebbe tirato d’impiccio coll’altra Norma, e che in conseguenza la riputazione del vostro spartito andava a rischio d’essere compromessa in quel primario teatro; considerando che io gli dava uno spartito povero di libri d’orchestra (era quella che aveva già servito per Rovigo col consenso di Lanari) e che perciò gli incombeva la spesa di molti raddoppi; considerando finalmente ch’egli mi porgeva una garanzia per la custodia dello spartito, e che Lanari a Genova l’aveva precedentemente dato a nolo per un prezzo poco maggiore, glielo accordai per franchi 300, e Lanari con sua lettera approvò il mio operato.

Eccovi dettagliato l’andamento delle cose, che tanto vi adontarono; eccovi su quali bugiarde informazioni voi mi avete oppresso d’una sì grave offesa. Io però che sì mal frutto ho raccolto dal mio zelo pel vostro onore e pel vostro interesse, sono costretto a dichiararvi che non voglio più essere depositario di tale spartito. Di questo mio zelo per voi e pel vostro decoro non ne diedi forse delle recenti prove al vostro teatro? Dalle mie precedenti lettere (che pare che voi non abbiate molto ponderate) vi feci conoscere come ora né la polizia, né i tribunali impediscono le rappresentazioni in teatro de’ spartiti di proprietà, quantunque non presi dal proprietario; e vi citai per esempio la Sonnambula, che ad onta di tutti i miei sforzi, si rappresentò al Carcano data dal Lucca. Si trattava ora di dare la Norma colla Malibran. L’impresa, resa ardita dall’esempio, della Sonnambula, mi disse di limitarmi nella dimanda, altrimenti avrebbero preso lo spartito dagli altri, che glielo offrivano a vilissimo prezzo. Piuttosto che permettere sì grave scandalo qui dove la Norma fu creata ed ottenne tanto splendore, e perché la falsa Norma, dandosi alla Scala, non ottenesse un suggello di approvazione presso gli stranieri, dissi al Duca che per il prezzo mi rimetteva alla sua onestà e decoro. Lanari approvò questo mio fatto. Ora in questi tre giorni si rinnovò lo stesso caso, perché intanto che io era in campagna, e che si era persuasi che questo autunno la Malibran non avrebbe rappresentato la Norma, che deve farsi dalla Pasta pel carnevale, improvvisamente si chiese la Norma, che io aveva a Brescia, per cui il mio segretario, mosso dal desiderio di salvare l’onor vostro col non permettere che si dasse un altro falso spartito, s’impegnò a somministrarlo facendo fare tutte le parti di nuovo. In verità io ne lo rimproverai come troppo facile ad accedere alle brame dell’impresa, ma insieme non potei a meno di scusarlo pel motivo che lo mosse. Ora però che ho ricevuto questa vostra lettera che si dovrà dare la Norma anche pel carnevale, vi prego di farmi conoscere per lettera le vostre intenzioni, non volendo più espormi a ricevere da voi sì duri rimproveri.

Quando io penso a ciò che dissi a Robert e Severini sullo spartito ch’essi acquistarono a Napoli, e con che impegno cercai di dissuaderli dal far uso di quell’aborto; quando io penso con che calore ne parlai a Tadolini, facendogli esaminare il vero spartito, ed animandolo perché persuada codesta impresa a scritturarvi per porre in scena il vero, in verità la vostra lettera mi diventa sempre più amara.

Ma è tempo di finire. Io spero che da quanto vi scrissi e vi mostrai, vi sarete ricreduto del vostro inganno, e che se con crudele franchezza mi faceste ingiuria, con pari lealtà ora verrete a dirmi che avete torto, e che riconoscete d’ aver offeso ingiustamente il vostro forse più leale amico d’ogni altro. La vostra amicizia mi è oltremodo carissima, ma essa dev’essere basata sul sentimento della mia onestà e delicatezza senza di che non evvi verace amicizia.

Vi ritorno la lettera del Governo, che avete dimenticato di porre fuori, onde ricevesse il timbro della posta, senza di che non può acquistar fede, pregandovi a rimandarmela subito timbrato da codesto ufficio postale. Anche in questa lettera vi sono tante espressioni di diffidenza, la quale non so come io possa avervi inspirato. Siccome però sono certo che non vi saranno motivi, almeno per parte mia a dissapori, così non replico altro, ed in attenzione di vostro riscontro, ad onta che gravemente offeso, di vero cuore vi saluto e mi dico

Giò Ricordi.

 

          

 

 

Ed. AMORE1894, [r] pp. 428-435; NERI 2001, [r] pp. 57-61; OLSCHKI 2017, [r] pp. 391-394.