Colleretto Parella, Ivrea, 23 Agosto 1896

Al Comm.re Giulio Ricordi, Milano. 

Carissimo amico, 

Ricevo la vostra di ieri e rispondo a volta di corriere. Vi confesso che il tono delle vostre parole mi offende, ed ho coscienza di non meritarlo. Il manoscritto della Tosca, mi fu consegnato in principio di Giugno, a quell'epoca pure fu pattuita la mia collaborazione. Ebbene ho già dato un'atto compiuto e sono avanti nel rimanente lavoro. Altro è buttar giù una traccia più o meno distesa di scene, altro è serrare il soggetto in pochi versi, cercando di metterne in rilievo tutti gli elementi essenziali e curare la forma della scena e del verso. Questo lavoro minuto e diligente vuol tempo e pazienza e fatica molta, e non è da voi, parmi, sufficientemente apprezzato. È certo che, a leggere i giornali, gran parte del successo della Bohème è dovuto al libretto. È certo che gli autori del libretto non ebbero da voi e dalla vostra casa, la centesima parte delle soddisfazioni morali di che foste largo al maestro. E dei due autori, io fui certo il meno considerato. Non me ne lagnai e non me ne lagno. Non ho cercato io questa collaborazione, non l'ho desiderata, l'accettai pregato, più per riguardo vostro che per interesse mio. 

Da due mesi non mi occupo d'altro che della Tosca e vi assicuro che le vostre parole asciutte mi colmano di meraviglia e di amarezza. Già ve l'ho fatto dire dal Tornaghi, sono profondamente persuaso che la Tosca non è buon argomento per melodramma. A prima lettura pare di sì, vista la rapidità e l'evidenza dell'azione drammatica. E più e meglio pare a chi legge, la prima volta la sagace sintesi che ne ha fatto l'Illica. Ma quanto più uno s'interna nell'azione e penetra in ogni scena e cerca di estrarne movimenti lirici e poetici, tanto più si persuade della sua assoluta inadattabilità al teatro di musica. Ho piacere di averlo scritto, perché sono sicuro che avrò in seguito occasione di ricordarvi questa mia lettera. Nel primo atto sono tutti duetti. Tutti duetti, (tranne la breve scena della tortura, in parte della quale due soli personaggi stanno davanti al pubblico) nel secondo atto. Il terzo atto è un solo interminabile duetto. Ciò non si avverte nel teatro drammatico perché si tratta di un dramma a protagonista fatto per mettere in evidenza la bravura di un'attrice. Ma anche sulle scene di prosa, è bene osservare che la Tosca non entrò mai nel repertorio generale. Esso è dramma riservato alla virtuosità di qualche attrice eccezionale. In musica poi, quell'eterno succedersi di scene a due, non può a meno di riuscire monotono. Né questo è il peggior difetto. Il guaio più grande sta in ciò, che la parte dirò così meccanica, cioè il congegno dei fatti che formano l'intreccio vi ha troppa prevalenza a scapito della poesia. È un dramma di grossi fatti emozionali senza poesia. Ben altro era la Boheme, dove il fatto non ha importanza, mentre invece sovrabbonda il movimento lirico e poetico. Nella Tosca invece, bisogna mettere in rilievo la concatenazione degli avvenimenti e ciò prende molto più spazio che non dovrebbe e ne lascia poco allo sviluppo dei sentimenti.

Quantunque io sia persuaso di questo diffetto fondamentale, tuttavia mi posi all'opera, per compiacervi, col massimo zelo. Ho rinunziato apposta ad ogni riposo, ad ogni escursione alpina. Mi sono chiuso in questo mio romitaggio di Parella, e non ho più atteso ad altro. Ho una commedia sul telaio. L'ho interrotta e non conto di riprenderla che a libretto compiuto. Ma io non mi sento di buttar giù alla carlona purchessia. Se voi, se Illica, se Puccini avete ricorso a me, lo avete fatto  per desiderio di forma corretta e poetica. Se così non fosse il mio intervento sarebbe inutile affatto. Or bene, quel dover lottare a chiudere in poco, tutti quei minuti congegni macchinosi è cosa molto ardua e faticosa. Ogni scena mi costa un improbo lavoro, devo rifarla più volte perché non voglio licenziarla se non mi soddisfa. Voi mi ponete molto crudamente il partito alla mano, e se ho letto chiaro nelle vostre intenzioni, vi mostrate inchinato a far di meno dell'opera mia. Ebbene caro Ricordi, parliamoci chiaro ed aperto come si conviene fra buoni amici. Io per mio conto, non do indietro, ma non vorrei per nulla la mondo che l'impegno preso con me fosse di impedimento alla vostra libera azione. Se avete di meglio, se i miei scrupoli artistici ritardatori vi danno noia, non solo io sono disposto a smettere, ma vi offro di restituirvi una parte della somma che abbi in anticipazione. Ai miei impegni, non sono venuto meno. Ma un lavoro d'arte, non è prodotto manuale che si possa compire a scadenza di giornata. In questo mese, voi lo sapete, fui turbato, disturbato, preoccupato, travagliato dalle polemiche calunniose dell'Antona Traversi e dei soliti libellisti, contro di me e contro la Società. Dovetti fare più corse a Milano, dovetti finalmente sporgere querela per diffamazione contro l'Antona, facendogli ampia libertà di prova. Di qui una perdita immensa di tempo in raccolte di documenti, in conferenze cogli avvocati, in corrispondenza col Praga, in memoriali defensionali. Domani stesso devo andare a Milano per la costituzione di parte civile. A questi impicci mi pose la pusillanimità del Consiglio della Società e del suo Presidente i quali due mesi fa, non ostante le insistenze di Praga, di Boito e mie, ricusarono di dar querela in nome della Società. Il che avrebbe troncato ogni cosa. Ora tutto il fardello è caduto su di me. Ora il Soldatini è diventato il procuratore generale del De Marchi, uno dei nostri calunniatori, ed ora tutto il grosso pasticcio che il Visconti Venosta ed il Rosmini si sforzarono di tener celato, dovrà venire in luce perché io, attaccato direttamente non voglio che resti la menoma ombra sull'opera mia e li metterò in piazza tutti quanti. Ciò non ostante, e benché avessi l'anima piena di sdegno d'ira e di amarezza, ho lavorato assiduamente. Sul principio di Settembre avrete tutto il secondo atto, e già buona parte del terzo è fatta. Ho cominciato a fare le parti liriche e distese, riserbando per ultimo il lavoro di legatura. 

Ma torno a dirvi. Se credete di fare a meno dell'opera mia, padrone sempre, e amici sempre. Io ho verso di voi, antiche e serie ragioni di gratitudine e non sono uomo di labile memoria. Nulla mi sta più a cuore del contentarvi, ma non sono un facilone del verso, e la forma mi costa pena e tempo. Spero vedervi Martedì mattina a Milano, ma ho voluto scrivervi perché queste cose a dirle di persona riescono più penose. Voi, al mio venire avrete letto la mia lettera e mi direte quale sia la vostra decisione. 

Abbiatemi sempre per   Vostro aff.mo Giuseppe Giacosa.

Transcription by Veronica Mondoni

Named works
La Bohème

Typology lettera
Sub-tipology letter
Writing manuscript
Language italian

Physical Attributes
No. Sheets 2
Size 270 X 210 mm

Letter name LLET000181