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Place: s.l.

ID: LLET000299




[Questa lettera è la versione dattiloscritta dell’originale manoscritto LLET000298. È probabile che sia coeva del manoscritto e che sia stata copiata da Ricordi per ragioni di praticità di lettura, vista la sua lunghezza e importanza. ]

Carissimo Puccini

eccomi all'ultimo “bazello” della gran scala delle considerazioni, argomentazioni, cacadubbi e pisciaincertezze.

Se sarai convinto mi metterò subito al lavoro per ottenere nel colorito del dialogo quella “caratteristica” che noi desideriamo, caratteristica che deve servirci per staccarci con questo soggetto dalla forma di ogni altro libretto.

Conserverei però ad ogni atto il sistema seguito dal Louӱs per ogni singolo capitolo del suo libro, vale a dire: darei ad ogni atto per titolo un periodo che ne compendia lo svolgersi principale dell'azione per quel sapore che questo breve compendio dà e che ricorda il modo di novellare che tanto prediligevano i romanzatori spagnuoli; vedi Cervantes, vedi Quevedo nel Gran Tacaño, modo seguito anche da Lesage quando appunto volle scrivere un romanzo spagnuolo.

Così il 1° atto noi potremmo mettergli per titolo:

“Come e dove Mateo ritrovasse Concha Perez”

1° atto:

Mi pajono soverchi quei dettagli che tradiscono la preoccupazione di voler rendere l'ambiente e il “caquetage” delle cigarrere, quasi con l'intento di plasmarne dei tipi, farne dei caratteri, descrivere dei personaggi ben bene definiti come se dovessero servire a spiegare qualche cosa nell'”antefatto” o tornarci utili negli atti seguenti, mentre invece nessuna di queste cigarrere ha a vedere col nostro dramma.

Mi preoccuperei invece della presentazione di Conchita.

Se si avesse a rendere della Fabrica quel momento così caratteristico della ripresa del lavoro dopo il riposo della mattina? il suono della campana che richiama le operaje? Concha che viene in ritardo e la “surveillante” che le applica la multa?

Vedi tu! Forse è preferibile lasciare la Fabrica come è ora e impressionare il pubblico col colpo d'occhio dell'insieme e il suo movimento. Certo che la Conchita potrebbe venir presentata al pubblico in modo più evidente, più da “prima donna”.

Quello che invece è davvero viziosissimo in questo primo atto è il mezzuccio seguito per trattenere in scena Mateo. “Mateo fait signe a l'inspecteur ..... de ne pas l'attendre et l'inspecteur acquiesce.”Ed è talmente mezzuccio che si è costretti subito per riparare a costringere l'inspecteur a doversi giustificare colla surveillante dicendole sottovoce ”C'est parent du Governeur !”

E questo mezzuccio perché? Per venire alla scena che segue subito, scena anche più viziosa del mezzuccio sfruttato per arrivarvi, voglio dire quella inverosimile presentazione – presente Mateo –che Concha fa di lui alle cigarrere, scena da libretto trent'anni fa.

Noi non abbiamo invece che a fare attraversare la vasta camerona da Mateo che segue l'ispettore che descrive introducendolo in altre camere.

Via Mateo le cigarrere rimangono colpite dall'atteggiamento di Concha che ha guardato Mateo con sorpresa senza staccargli mai gli occhi di dosso e seguendolo ancora quando si allontana coll'ispettore

A Concha le è sembrato di ravvisare in quel visitatore un Signore che una certa volta, in un certo viaggio........etc... E così con più naturalezza Concha presenta Mateo ..... al pubblico.

Le cigarrere allora possono dire a Concha” E perchè – se é lui – quando ripassa non trovi il modo di farti riconoscere?

“E saprei come! Risponde Concha. Non avrei che a ricantare la Soledad che mi ha fruttato lo schiaffo del gendarme e l'interessamento del caballero! Sì, perchè una canzone udita sia pure una volta sola dalla bocca della Conchita nessun uomo la dimentica più, nessuno, e per tutta la vita.

“Avrai un’altra multa se canti.

”Ah questa non sarò certo io che la pagherò!

Una le dice “Ti auguro che debba proprio essere lui....

“Silenzio! Dicono le altre. Tornano!

Conchita canta, Mateo la riconosce. Così eviteremmo quel: Figurez-vous …... etc – e daremmo maggior verità e maggior movimento .... Non solo ma allorché Mateo parla con Concha non ci sarebbe più bisogno di quei commenti sotto delle cigarrere che non dicono niente e messi lì proprio in mancanza d'altro, ma potremmo ottenere un effetto di bisbiglio malizioso col quale le cigarrere sottolineano il dialogo di Mateo e di Concha – bisbiglio significante e logico. E allora la

O petite étoile filante

sortirebbe meglio come “brano di presentazione del tenore”, non più soffocata dal racconto – vieux-jeu – di Concha, brano che potrebbe anche prestarsi magnificamente per chiudere musicalmente l'atto primo, volendolo.

Atto 2°

“Come una felicità vicina è sempre molto lontana”  

(Ma qui prima di tutto apro una parentesi per una questione fondamentale anzi capitale sulla quale basa tutta l'azione dell'opera e sulla quale abbiamo discusso rilevandone il pericolo eccezionale che essa minaccia continuamente. Voglio dire l'avversione fisica che Conchita ha di Mateo personalmente e di tutti gli uomini in generale, avversione poco logica, molto inverosimile e tale da eccitare intorno al lavoro un’altra avversione, quella del pubblico.

È questo il peccato originale del soggetto, che se nel libro di Louӱs  può parere giustificato siccome  uno studio dal vero, in teatro non ha nessuna giustificazione poiché il pubblico dei teatri non studia e non riflette, vuole solo sentire, vedere e interessarsi.

Orbene se noi riesciamo a giustificare la misantropia sessuale di Concha noi riesciamo anche ad ottenere quel lampo di idealità così necessaria specie per la musica, idealità che sa mutare il “laido” in “grande”, il “cattivo” in “bello” e fa dell'”orrido” un “tipo eterno” come Mefistofele, Jago etc. etc.

E mi pare di aver trovato!

Ecco: Concha non ha conosciuto suo padre; sua madre era come è lei cioé una delle tante donne gittate dalla fatalità sulla grande “route du plaisir des hommes”. E sua madre vi trovò la miseria e la infelicità e l'avvilimento. Perché? Perché la madre di Concha ha amato; non è stata solo la cortigiana, ma la innamorata.

È naturale che Concha senta fino da bimba, aizzata dai racconti dolorosi della mamma, orrore per gli uomini, l'odio per l'amore.

“Ah, no! Mamma, io non soffrirò mai perché non amerò mai, mai, mai! Non solo ma il piacere che è la terribile e fatale insidia, il vero pericolo, non sarà per me che un'arma, un'arma per la vendetta poiché io ti vendicherò, mamma! Guai a quell'uomo!!...

Così tutto è logico, e quello che potrebbe parere inverosimile diviene logico, e quello che oggi a noi appare avvolto nella nebbia del dubbio diviene vera verità e quello che prima faceva sembrare Concha antipatica ora la trasforma in eroina.

Vi è un pensiero forte che anima e caratterizza questa creatura che da un personaggio volgare diviene un “tipo.”)

2° Atto – dunque- col titolo:

“Come una felicità vicina è /o sia / sempre molto lontana”

La scena rappresenta la casa di Concha; la scaletta laterale che conduce ad una piccola porta con specula sporgente fatta alla moresca con legno di cedro fantasiosamente arabescato.

Dentro vi è uno di quei tanti altarini dedicati o alla Madona del Pilar e alla Madonna d'Atocha. La madre è in scena, accudisce a qualche faccenda domestica. L'appartamentino delle due donne è – come lo descrive Louӱs – in alto; bisogna salire per una scala un po' faticosa per arrivarvi; è l'abitazione caratteristica, ma poco comoda di donne quali Conchita e sua madre.

Dal basso (si suppone fuori nella strada, presso la porta di entrata) la voce monotona di accattone chiede l'elemosina. Certo è qualcuno che passa per la via. Poi l'accattone tace. Certo chi è passato ha tirato via senza dare un maravedis. Suona una campana fuori dalla chiesa vicina. È il Vespro! La madre di Concha si fa il segno di croce; sale la piccola scala; apre la porta colla specula; aprendo lascia intravvedere il piccolo altare; rinchiude la porta e si sente la voce della madre di Concha pregare; un borbottio di preghiera monotona, uniforme.

Ancora si fa sentire la voce dell'accattone che strilla. Sono Concha e Mateo che questa volta non solo passano, ma si fermano per entrare in casa. Lo si capisce dal breve dialogo (storico che a molti ha servito per dipingere il carattere degli spagnuoli, fieri ed hidalghi sempre anche se in bolletta). La voce di Concha osserva beffarda all'accattone che potrebbe benissimo prima di chiedere agli altri vendere quell'orologio che con tanto orgoglio espone agli sguardi di tutti.

L'accattone-hidalgo risponde con fierezza spagnola: Señorita, io vi ho domandato l'elemosina, non un consiglio. Ma subito la voce dell'accattone si fa sentire tutta lieta dire un calendario di santi e profetizzare e invocare un vocabolario di buone fortune. Mateo ha fatto l'elemosina.

La voce di Concha: perché quella peseta...?

La voce di Mateo: perché oggi mi sento vicina la felicità.

E le voci cominciano ad avvicinarsi: si sentono salire le scale, crescere di intensità e di evidenza fino alla voce di Concha che esclama.

“Siamo arrivati. Sto qui!

La madre ha continuato a pregare.

Concha apre la porta di casa per introdurre Mateo, sente sua madre che prega, pone il dito sulla bocca e fa cenno a Mateo di parlare piano, di non disturbare la mamma che prega. E qui abbiamo (breve, brevissima) la scena deliziosa del Louys, così vera:

“J'étais devant elle, dans un fauteuil de bois dont.......etc.

Soudain elle s'assit sur mes genoux, mit ses deux mains à mes épaules et me dit:

“C'est vrai?”

Instinctivement, j'avais refermé mes bras sur elle et d'une main j'attirais à moi sa chère tête devenue sérieuse; mais elle devança mon geste et posa vivement elle-même sa bouche brûlante sur la mienne en me regardant profondément.

Orbene questa scena rapida può, in un lavoro dove le scene a due eccedono, dare una varietà e riuscire in teatro veramente nuovo [sic] ottenendo il voluttuoso “sottovoce” di due amanti, il loro bisbiglio, il loro sospiro, sottovoce a fior di labbra, leggerissimo, pieno di fremiti, da far correre un brivido di sensualità nel pubblico se reso dagli artisti con tutta la evidenza della realtà, mentre il borbottio della madre lo rende logico.

Scena rapida ma impressionante che offre un gran distacco dal duettino che la precede, voglio dire mentre salgono la scala.

Sono ancora del mio parere per quello che riguarda il portafoglio e la violenza di Conchita contro Mateo.

Se noi evitiamo qui e la violenza e la presenza di Mateo ci salviamo da una ripetizione un po' odiosa. Con Mateo in scena respinto – presente la madre – ci ritroveremmo nel quadro del “patio” in una pressoché uguale situazione quando cioè Conchita respinge Mateo – presente il Morenito. Perché una scena violenta? È già così violento tutto il libro, qui! “Pantin” vuole anche significare “burlato, schernito, giocato”. Nel “pantin” chi riflette al valore della parola vi riesce a sentire le risa e le beffe che il povero pantin eccita! Se noi riusciamo a dare in questo secondo quadro quest'altro punto di vista del “pantinismo umano” avremo spezzata l'uniformità e l'uguaglianza di una azione drammatica resa sempre ripetutamente immobile dalla fatalità dei due soli personaggi che costituiscono il dramma.

Si tratta solo di cambiare nel libretto il “Demain je serais tienne,

mon amant !...

Che Concha dica: “fra poco, quando anche questo sole che arrossa tutta la Giralda si sarà spento, vieni a prendermi. Sarò tua, sempre, mio amante”.

Mateo esaltato, pazzo d'amore, vorrebbe baciarla. Concha gli sfugge e chiama la madre e le presenta Mateo.

Mateo dà il portafogli alla madre.

Via Mateo Conchita vede sua madre e il portafoglio. In questa scena pochi rimproveri della Conchita – (alla quale quel portafoglio bruscamente ricorda le condizioni sue e di sua madre) – pochi rimproveri della Conchita lasciano capire al pubblico, fosse pure non ben chiaramente, la fatalità della vita di quelle due donne. La Conchita si trasforma! Richiamata a sé stessa torna a rivivere del suo odio per tutti gli uomini. Deriderli, giocarli tutti! Schernirli tutti! Ammattirli di amore per poterli odiare meglio! Far balenare innanzi al loro pensiero tutti i misteri del piacere perché poi debbano meglio sentire tutte le torture di una realtà fatta di disinganni e dolori. Verrà....E non mi troverà più!

E ride, e vuole che anche sua madre rida! Riso nervoso e cattivo che noi riudiremo nel patio. Come dissi l'altra volta si possono pel finale di quest'atto sfruttare le vicine di Concha, femmine come lei, femmine che abitano come Concha quella “maison inquietante” quei piccoli e angusti abbaini dove alla porticina che serve di ingresso “une carte de femme sans profession est clouée”. E perché – come essendo dell'autentico spagnolo, eccezionalmente spagnolo – non verrebbe Mateo a prendere Concha con una di quelle meravigliose serenate sussurrate che hanno fatto definire la Spagna “le pays des serenades”? Nella Carmen non ve ne sono di serenate.

La serenata sussurrata in basso; le vicine che ridono; Mateo che sale ….. e trova Concha fuggita via. Pantin ridicolo e beffato; pantin da commedia per diventare poi nel “patio” pantin da tragedia.

Atto 3°

Dove e come Concha Perez rivedesse Mateo

Giustissima la tua osservazione che a Mateo manca sempre l'occasione di una romanza, la quale romanza non solo soddisfa la vanità del tenore ma, dato un dramma così violentemente passionale, così poco “tenore” pel tenore (intendo alludere non alla parte di tenore ma al personaggio  che si presta molto al ridicolo), viene in certo qual modo a spiegare al pubblico il carattere del personaggio e a rendergli ben evidente, persuadendolo, che quello che può sembrare ridicolo non é che una ragione di suprema pietà umana.

E la romanza la metterei qui. E la metterei qui perché ce la mette anche il libro del Louӱs. E la metterei qui perché qui viene a spiegare l'azione, perché eminentemente passionale, veramente “tenore”. Ecco: “...j'étais guidé de ville en ville, non pas par ma fantaisie, mais par par une fascination irresistible et lointaine dont je ne doute pas plus que de l'existence de Dieu.” È il destino che riduce Mateo lo schiavo della sua passione facendolo agire, presso a poco come succede in un magnitizzato [sic], inconsapevolmente, suggestionato.

Ed eccolo prima che sia l'ora dello spettacolo prendere posto – solo – nella sala del Baile, irrequieto, pieno di ansie! Mateo interroga il camarero. No, non si è ingannato non l'hanno ingannato i suoi informatori; la Conchita da cigarrera si è messa a fare la danzatrice. La Conchita è anzi la celebrità, l'affare dello stabilimento! È lei che chiama il pubblico! Il suo modo di “ballare”, le sue pose, le sue movenze, il suo corpo entusiasmano il pubblico. È il “successo del giorno”! Perfino gli stranieri se ne interessano! Vi sono degli inglesi che vengono appositamente da Cadice per vederla a danzare. “Ma siete venuto troppo presto. - osserva il cameriere.

Ma Mateo saprà bene aspettare! E qui possiamo trovar posto per la così detta romanza, questa rapida conoscenza col cameriere può giustificare dopo l'informazione del “ballar nuda davanti agli inglesi” .

L'idea del paravento dietro al quale la Conchita sorpresa da Mateo si riveste e la si sente rispondere, discutere e nella violenza del dialogo esce semivestita, allacciandosi sottana e busto, è bellissima pel movimento della scena e per la naturalezza e per la verità ma offre anche alla nostra riflessione di dover supporre che se dietro a quel paravento Conchita si veste, dietro a quel paravento Conchita si sia anche svestita.

Quando?  

Non c'è il tempo per questo; e anche ci fosse il paravento diverrebbe una ripetizione.

Si può invece del paravento lasciare la porta aperta del camerino dove le ballerine si vestono e si svestono e la Conchita potrebbe benissimo entrare ed uscire allacciandosi tutto quello che si vuole e dare tutto il movimento e la naturalezza che noi desideriamo al momento scenico.

(Queste mie osservazioni potranno sembrarti un po' meschine, un po' troppo Beckmesser. Ma che cosa importa se così io posso dimostrarti tutto lo studio coscienzioso che ho fatto non solo del soggetto ma anche dei tuoi pensieri, e il mio vivissimo desiderio di poter arrivare all'altezza della tua convinzione nell'”opera”, che già vedi e senti, convinzione che se non del tutto è riuscita a dissipare i miei dubbi, per la tua coscienza di senso teatrale ha di molto attenuato il mio pessimismo.

O un gran successo o meglio guardare passare il mondo attraverso alle vetrine dei negozi che sono la esposizione più bella, permanente e gratis, senza i presidenti Mangili e i segretari Zorzi.) La romanza qui – di carattere supremamente passionale – servirebbe anche a spiegare la lacuna fra il 2° e il 3° atto; non solo, verrebbe ad arricchire questo atto, a renderlo più vario, più vivo; atto che così renderebbe più logico il personaggio del “pantin”; atto che non resterebbe più troppo uniformemente chiuso dentro a  ue duetti.

ATTO 4°

Come una felicità /o “la felicità” / creduta lontana possa essere vicina!

Qui non è più “la femme et le pantin” perché i pantins divengono due, uno che parla e l'altro che non parla, uno troppo loquace e l'altro completamente alalo. Il morenito è un pantin d'altro genere. Sono perfettamente del tuo avviso di non farne un baritono. Sotto ci si vedrebbe troppo il giustacuore ricamato di Escamillo. Ma farlo tacere se non è pantin è mannequin!

Si potrebbe già trovare modo di farlo cantare nel 3° atto fosse pure soltanto come accompagnamento di una danza.

Colla romanza nel 3° atto l'unità del 4° è quasi necessità.

I capelli grigi, la tazza di cioccolatte non sono né situazioni, né colorito di scena o di ambiente. I primi dipendono dal trucco più o meno abile dell'artista, il 2° anche se bollente forse lascia freddo il pubblico.

Così invece non è né del chiaro di luna, né del vento che commuove alberi, rami e fronde.

Noi possiamo avere entrambi questi due effetti in un atto solo, atto che riunendo le due situazioni che separate possono essere pericolose riunite si salvano reciprocamente, non solo, ma una giova a dar risalto all'altra per quella benedetta legge di antitesi che é uno dei più scuri effetti di palcoscenico.

Trovare il modo di riunire i due duetti! Ecco la questione

Cioè: trovare il modo di portar via il Morenito, logicamente, evidentemente, senza che lo scomparire di questo personaggio abbia a troncare la scena, sviare l'attenzione del pubblico, distrarlo.

Credo di aver trovato. Il mezzo di riuscirvi ce lo offre quella “navaja” alla quale tu hai pensato. La scena vuole un po' mutata e meglio spiegata nell'atto 3°. Mateo nell'atto antecedente dice a Concha (come nel libro) che la casetta è isolata, fuori di città, sepolta dentro il verde dei prati e degli alberi.

Invece di mettere la cancellata in primo piano la si mette lateralmente, così:

[disegno]

Abbiamo il verde in scena e il verde come sfondo, vale a dire si può ottenere in scena e fuori l'effetto del “vento”.

Luna durante la prima parte dell'atto; il vento nella seconda parte, oscurità che va crescendo di intensità fino alla fine mentre invece scoppia, pure sempre crescendo, il fragore trionfale del duetto ultimo – come tu hai pensato – trionfale perché questo duetto è appunto il trionfo dell'amore.

Veniamo ora al punto di unione dei due duetti, alla loro naturale e spontanea passione, alla “sutura” senza lasciare veder la ricucitura.

Mateo minaccia; Concha ride delle sue minacce, non crede, lo aizza, lo eccita ingiuriandolo. È troppo avvezza a crederlo pantin per dover temerlo come uomo: Mateo leva la navaja, la apre, la agita alto...Concha bacia Morenito.

“Questa bocca di giovane sì che sa di primavera e ha l'odore dell'amore!”

Mateo dà in urlo terribile e – alla spagnuola – lancia la navaja! All'urlo di Mateo risponde uno strillo di terrore. È il Morenito che strilla preso da spavento e da raccapriccio, e corre via, scappa gridando. Conchita, colla agilità della persona avvezza alla mobilità della danza ha rapida schivato il colpo con un pronto moto della testa. Ma Conchita ha sentito la morte passarle vicina, sferzarle coll'aria violentemente smossa il viso.

Conchita non ride più! Mateo guarda con occhi larghi la fanciulla, occhi implacabili. Conchita pure con occhi larghi, sorpresi, guarda il pantin ad un tratto rivelatosi uomo.

“Tu dunque vuoi amare fino alla morte”

“Fino alla morte...alla morte...sì. E tu morirai! Tu devi morire! La morte mi darà il tuo corpo che la tua vita mi ha sempre negato!”

Lentamente, gli occhi sempre larghi e fissi in Mateo, Conchita si avvicina alla cancellata, lentamente, rassegnata e domata, altera e fiera sempre eppure obbediente, umiliata e vinta, ma superbamente.

“Uccidimi dunque!”

E apre la cancellata.

Violenza terribile ma non schiaffi, per carità, questo vero della vita è l'inverosimile del teatro.

La scena pericolosa col Morenito troncata bruscamente viene non solo escamotée ma ci offre un vero colpo di scena: non tronca nessuna situazione ma la continua accrescendone la vigoria; invece di scemarne l'interesse lo ravviva, lo rinforza, e il pubblico violentemente sottratto da quella situazione angosciosa – senza avere il tempo di accorgersene – si trova nella passionalità la più forte e umana poiché in quell'ultima scena tutto il pubblico diviene Mateo e la scena prima col Morenito non avrà così servito che come una benefica antitesi per farci arrivare al più alto grado e dell'effetto musicale e dell'effetto scenico.

Che duetto! Poche parole della Conchita lasciano capire la ragione (quella che deve servire a giustificare l'odio di Concha pel sesso maschio, il suo misantropismo) della condotta di lei, spiegazione evidente, logica, ammissibile del suo carattere, e quindi il supremo trionfo dell'amore, della natura.

L'Ispettore della Fabrica per quanto abbia poche parole bisogna farne un tipo come abbiamo fatto, non so, di Alcindoro. Basterà un episodietto di multa o altro... Ma tutto deve essere tipico. Abbiamo noi creato questo mondo di macchiette: riaffermiamolo. Così il “camarero” del 3° atto deve essere una parte per un Gianoli. È un tipo di cameriere chiacchierone, di quelli che conversano cogli avventori; che servito uno fosse pure una volta diviene intimo, lo serve senza aspettare l'ordinazione poiché egli sa i gusti di chi serve il quale diviene piuttosto l'avventore del cameriere che del café. È un chiacchierone che accompagna le sue chiacchiere con una vivacissima mimesi. Parla della Concha? Ed ecco che egli si mette in posa di bolero o di fandango proprio come Fugère nell'ultimo atto di Bohème. Indiscreto per necessità di mestiere mette della malizia dovunque, così parlando dell'entusiasmo degli inglesi per la Conchita – senza alludere alle rappresentazioni segrete – il cameriere le trova non solo ammissibili ma lodevoli. “Figurate voi...una donna?... Ma che donna!...Una leonessa metà tigre e metà serpente che quando nella “jota” deve alzare il piede sinistro per portarlo in appoggio del destro,  con un rapido striscio, così!, prende improvvisamente uno slancio, così! E torna con un energico sussulto delle reni, così!, alla posizione!.. Leonessa, tigre e serpente, parola d'onore!” Ed eccita vieppiù Mateo. Ad ogni “così!” il camarero mostra coll'esempio le diverse posizioni e i diversi movimenti!... E Mateo ne è torturato! Degli inglesi che vengono poi, di uno di essi si può fare una macchietta. Si può tipizzare uno degli avventori. Si può far tutto quello che vogliamo per ravvivare, creare un mondo di cose vive intorno ai nostri due protagonisti troppo soli nel loro dramma onde, pur rimanendo soli, al pubblico sembrerà di vederli, di scorgerli non isolati come ora sono ma come se dentro ad una folla di esseri, di cose, di luoghi messi in movimento da quella gran febre [sic] che è la vita.

Ho buttato giù alla carlona. Qua e là potevo esporre meglio, essere più decorativo. Ma tu nel mio impeto vedrai meglio, molto meglio il “decorativo” che vi manca, e il resto.

fto. Tuo Illica

Transcription by Marco e Silvia Riboldi
Typology lettera
Sub-tipology letter
Writing typescript
Language italian

Physical Attributes
No. Sheets 11
Size 285 X 220 mm

Letter name LLET000299