Date: 12/8/1918



Place: Impruneta, Firenze

ID: LLET013638




Impruneta (Firenze)

Villa Citernesi, 12 ag. 1918

 

Illustre Signore,

 

Ho ricevuto ieri sera la Sua lettera. La ringrazio della Sua cortesia, ancorché il Suo giudizio sul mio dramma non sia stato quale io l’avevo desiderato!

Ho molto e profondamente pensato al Suo giudizio, che nega al mio dramma vere e proprie doti di teatralità. E a tutta prima non riuscivo a comprenderlo. Ma dunque, mi dicevo, non vi sono nel dramma contrasti di caratteri, di sentimenti, di passioni? Non sono Jaéle e Sisera personaggi vivi che noi siamo portati ad amare e dei quali soffriamo volentieri ogni sofferenza per l’amore che essi, alti e puri e nobili, sanno destare nel nostro animo? Non è Debora, l’inflessibile, un personaggio per il quale noi sentiamo, pur non potendolo veramente amare data la sua inflessibilità inumana, ammirazione e venerazione? Non è dunque la vita di tutto quel grande popolo ebreo, quando vile e quando sublime, tale che noi possiamo in essa specchiarci e ritrovarci? Se dramma deve essere vita viva, movimento, azione, antagonismo di persone e di sentimenti, non è dunque Débora e Jaéle un dramma, vale a dire un’opera di teatro?

Ma poi, rileggendo la Sua lettera, ho forse meglio compreso il Suo giudizio, in quanto ella parla di una speciale teatralità indispensabile in un’opera lirica. E ponendosi dal punto di vista dell’opera lirica, del melodramma, è forse giusto dire che mancano al mio lavoro quelle caratteristiche che alla vitalità del genere sono assolutamente indispensabili. Soltanto che ... il melodramma è una bella forma di arte teatrale, e noi italiani lo sappiamo e lo possiamo dire più di chicchessia, ma perché il teatro musicale dovrebbe offrire sempre e soltanto dei melodrammi? Perché non si deve ammettere anche una espressione musicale del dramma diversa da quella tradizionale melodrammatica, e, ammessa tale nuova espressione, non si devono ammettere svolgimenti scenici e psicologici diversi da quelli del tradizionale libretto?

Le dico queste cose per dimostrarle che ho lungamente meditato sul Suo giudizio, non per tentare di ottenerne uno più favorevole. Soltanto io spero – e direi io credo, se la parola non potesse sembrarle superba -, spero che sentendo il mio dramma nella sua espressione completa, totale, cioè con la musica, Ella possa giustificare quegli svolgimenti e quelle forme che le apparvero non abbastanza teatrali. Da queste parole Ella comprenderà che io non abbandonerò l’opera mia. Ma se Le dicessi di abbandonarla, o Ella non mi crederebbe affatto, o perderebbe anche quella stima – ancorché sia poca! – che Ella ha di me.

Ed ecco un’altra speranza fallita ... Ci sono avvezzo, ma ciò non toglie che io non ne provi una certa tristezza. Perché anch’io, come tutti gli artisti, sono purtroppo un pover’uomo che non sapendo accontentarsi di quel che ha ricevuto da Dio, prova a chiedere di tanto in tanto agli uomini un poco di quelle cose che si dicono vane ma alle quali è forse troppo difficile saper rinunziare del tutto: il benessere materiale, il riconoscimento del valore delle proprie opere, un poco d’incenso ... (E forse anche questa confessione della mia debolezza è vanità!).

Ella molto cortesemente mi invita a mandarle altre cose mie in lettura, se altre cose io abbia che valga la pena di leggere. Di musica ora non ho quasi nulla di finito. Ma due anni fa, quando composi Débora e Jaéle, concepii altri tre drammi dei quali stesi l’orditura scenica. Débora fu scritto prima non so neppure io per quali ragioni. Dei tre rimanenti, uno è, pur come orditura, incompiuto; un altro lo riprenderò e lo scriverò – poesia e musica – quando sentirò di essere vicino a morire, se farò in tempo; ma ve n’è uno che potrei mandarle da leggere. È un dramma del quale mi venne l’idea leggendo alcune notizie intorno a una stranissima figura di frate in una cronaca dei primi del ‘300. Vuole che glie lo mandi? L’orditura scenica, badi, non c’è di più, per ora; saranno una decina di cartelle.

Riguardo alla copia di Débora e Jaéle, Le sarò grato se Ella vorrà farmela rinviare qui all’Impruneta. Non è che una copia dell’originale, ma è come una fotografia di una persona amata: non avrei cuore di buttarla via!

Mi perdoni la lunga lettera, e voglia gradire, La prego, i miei migliori saluti ed auguri. Il Suo dev.mo

Ildebrando Pizzetti

Transcription by Paola Meschini
Named works
Débora e Jaéle

Typology lettera
Sub-tipology letter
Writing manuscript
Language italian

Physical Attributes
No. Sheets 1
Size 208 X 135 mm

Letter name LLET013638