Pregiatissimo Sig. Giulio:
Caprino Bergamasco = 24 Nov. 1881
 
Se il telajo non fosse una allegoria che sottintende il nostro povero cervello, sarei lietissimo di spedirglielo; così Ella vedrebbe che io non rimasi inoperoso. Sventuratamente il mio lavoro non diede verun risultato plausibile; le dirò anzi, che più volte fui sul punto di rinunziare all'assunto. Quella benedetta Tusnella [sic], che ricompare incessantemente sulla scena per fare dei predicozzi patriotici [sic] a chi non li vuol intendere, m'è divenuta uggiosa né più né meno che se io mi trovassi nei panni di Tumelico. Mi sono provato a trasformarla, e fù invano. Mi sono anche provato a seppellirla, o piuttosto ad eclissarla dentro un cumulo di episodii brillanti, ma di tal modo ella diveniva meno interessante e il nesso essenziale del dramma si smarriva. È inutile che io le dica quante trasformazioni ho fatto subire a questa disgraziata signora della Germania. Da ultimo ho dovuto concludere ch'ella è assolutamente incompatibile in un dramma musicale. Per mostrarle come e quanto il mio cervello abbia camminato su questo tema del Halm, le dirò che al posto di questa madre severa e stucchevole mi è venuto in mente di collocare una sorella, od anche una semplice schiava germanica, che avendo raccolto dalla madre di Tumelico il segreto della sua origine, ed essendo innamorata di lui, si adoperasse per indurlo ad abbandonare Roma e a correre sulla via de' suoi alti destini. Converrebbe in tal caso inventare un precedente razionale che mettesse in chiaro la posizione dei personaggi. Una Tusnelda sorella potrebbe annodarsi a Caligola per qualche brutale passione concepita da costui, o per qualche gravissimo oltraggio. Una Tusnelda, schiava germanica, innamorata di Tumelico seriamente, potrebbe accordarsi all'azione principale, a patto che Cesonia, sostituita a Licisca, amasse perdutamente il gladiatore e lo tenesse avvinto nelle sue lussurie. Ove ciò fosse, nulla più facile che chiudere il dramma con una catastrofe interessante. Tumelico, vinto alla fine dall'amore della schiava (che dovrebb'essere una ex-principessa, una grossa anguilla [?] di Germania) prenderebbe la risoluzione di abbandonare Roma. Cesonia, furiosamente gelosa, lo denunzierebbe a Caligola, od anche lo ucciderebbe . . . I personaggi principali avrebbero moto e calore – e gli episodii non avrebbero l'apparenza di riempitivi, messi là per ingrossare il melodramma.
Come Ella vede, non vi è nulla nella mia mente di ben determinato. Se ho messe innanzi questo piccolo caos di idee, perché Ella e l'amico Ponchielli, se fossero disposti a seguirmi su tal via, mi incoraggino con un cenno. In caso diverso, metterò da parte il Gladiatore, e attenderò nuovi ordini.
Dopo tali premesse, mi permetto, egregio signor Giulio, di dirle schiettamente che il Ponchielli, a parer mio, avrebbe dovuto appigliarsi di preferenza a qualche tema che più di questo si discostasse dall'ambiente classico. Dopo l'esperienza della Gioconda, che indubbiamente è, delle opere di Ponchielli, quella che produce nel pubblico una impressione più simpatica e più viva, il nostro egregio amico avrebbe dovuto persuadersi che le sue tendenze individuali lo portano al dramma moderno, o dirò meglio, alla passione romantica esagerata. Vi è una grande differenza di tinte psicologiche fra gli amori, supponiamo, di Venezia e gli amori di Roma antica, tra le gelosie di un Otello e quelle di un Caligola. La lussuria e la mollezza di Roma imperiale ha pur sempre una certa qual tinta di grandiosità che la adombra. Vi è poi uno sfondo di quadro, costituito dall'architettura, dalla ampiezza, dalla sontuosità colossale e pesante, che il maestro deve necessariamente aver presente al pensiero nel musicare un dramma antico. Portate in questo sfondo di quadro, le passioni più ardenti, le lascivie e le leggerezze più simpatiche, trascinano il coturno, si urtano nella daga ed hanno il passo grave . . . . Ella mi comprende, ed è bene ch'io la tagli su!
Il nostro Ponchielli ebbe più volte a lagnarsi di me, quasi che io mostrassi poca voglia di occuparmi di lui. È una sciocchezza. Io campo la vita scrivendo libretti, ed è naturale ch'io preferisca di scrivere pei maestri più insigni. Ciò che costituisce per me un inconveniente assai grave anche dal lato economico, è il dover fabbricare delle tele, che poi non mi servono nemmeno per far delle lenzuola. La vera, la grande fatica del librettista è quella di studiare i temi e di architettare i programmi. Orbene: v'è qualcuno che ci compensi di questa fatica? Eppure, malgrado tutto, io non ho cessato, né cesserò mai di occuparmi di Ponchielli. Glielo dica. Ciò che mi sta molto a cuore è di sceglier bene. La costruzione ritmica delle parole mi costa poca fatica.
Mi perdoni, signor Giulio, il tedio che le ho recato. Pensi che ho messo due volte l'argine alle mie idee – altrimenti, guai! Ella, che è sì buon intenditore, avrà letto nelle reticenze.
Le stringo cordialmente la mano, e pregandola di comunicare questa mia lettera al Ponchielli, me le protesto, quale fui sempre
Devotissmo amico
A Ghislanzoni
[di altra mano a matita: Astrologo Zema]
Trascrizione di Archivio Ricordi
Persone citate
Amilcare Ponchielli

Tipologia lettera
Sottotipologia lettera
Scrittura manoscritto
Lingua italiano

Medatadati Fisici
Nr. Fogli 2
Misure 262 X 208 mm

Lettera titolo LLEt008048