Milano, 10 Maggio 1909

Carissimo Puccini,

              Ricevo il suo biglietto – è superfluo dirle con quanta soddisfazione, con quanta gioia vedendo realizzarsi un così vivo mio desiderio. Ma per quanto grande sia il mio affetto per Lei, tuttavia non posso accettare di prendere parte a qualsiasi intervista o discussione con terza persona. Ho detto: basta e basta dev’essere. Ma del mio intervento non c'è davvero bisogno, perché la cosa è semplicissima: il libretto di M.A. è proprietà della mia ditta: si tratta di abolirne gran parte, di prenderne due quadri, sia pure modificandoli, e di crearne uno nuovo. Io dunque autorizzo Lei a servirsi del libretto, ridurlo come crederà meglio e fare le aggiunte che saranno del caso. Quantunque per contratto il poeta abbia l'obbligo di fare tutte le aggiunte o modificazioni, tuttavia per ragioni di equità, se si tratterà di un atto nuovo, io metto a di Lei disposizione Lire cinquecento quale compenso, dirò così extra, coll’obbligo al poeta di fare un'aggiunta al contratto esistente per regolare la cessione del libretto sotto la nuova forma che Ella desidera. Più in là di così non ci vado. Oramai, con simili faccende, ho diritto di avere un poco di tranquillità, e questa fu turbata troppe volte di sorpresa per ragioni sempre - almeno a me - inesplicabili per correre rischio disturbarla nuovamente. Ripeto dunque, caro Puccini, faccia Lei, e quando mi dirà: ho combinato così e così, tutto, io sarò veramente felice, e griderò mille e mille volte: Evviva il Doge! Veda, dunque, di darmi presto la consolante notizia: io poi metterò il nero sul bianco e non rimarrà che attendere la bella fioritura di un nuovo e vero capolavoro d'arte, quale può e sa fare il Sor Giacomo!

Con tutto l'affetto             Suo devot.

                                          f.to Giulio Ricordi