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ID: LLET000261




Carissmo Sigr Giulio - ho ricevuto da [da] Puccini una lettera alla quale ho risposto così:

Caro Puccini,

l'intervento di Giacosa nella famosa questione fra me e Oliva-Praga per Manon diede una simpatica Origine alla collaborazione di poi, così simpatica che io spontaneamente la riaffermai con Tosca, collaborazione che certo solo la morte ha fatto cessar e poteva troncare.

L'episodio - e relativo mio scatto di nervi - che tu mi ricordi - possono e devono anzi provarti quanto il mio modo di vedere sia sempre stato contrario a queste rare combinazioni che solo il caso può felicemente di quando in quando offrire ma che - volute e ricercate - non riescono o abortiscono delle opere che non sono che dei feti-morti. Poi - francamente - il caso dubbio di una collaborazione non mi sento più di affrontarlo.. Ultimamente - dopo Germania - Franchetti mi pregò per l'Antigone di Fontana; gli risposi di no ed egli si decise allora per la Figlia di Jorio. Anche il Giordano ebbe la velleità di fare il Puccini e mi propose Stecchetti (amico mio), e al Giordano poi risposi consigliandogli un cuoco di Spatz o un portiere di Casa Sonzogno.

Come vedi non è solo nel caso presente che io sento questa ripugnanza ad una collaborazione qualsiasi. E - nota - che col Fontana non mi sarebbe riuscito neppur nuovo il collaborare. Vero che ad ogni libretto soltanto mio (e perché forse non ho amicizie collettive e non appartengo a nessun conciliabolo letterario, a nessuna camorretta, a nessuna massonerìa teatrale, drammatica, giornalistica e politica e non sono neppure =centesimino= fra i palanconi e i cinque franchi della Società degli Autori) si elèva il solito coro gracchiante contro le sillabe, i piedi, i ritmi e contro tutto quello che è la cosidetta forma la quale serve così - se non altro - come e per un buon pretesto.

Vero però anche che ai miei primissimi libretti nessuno s'è mai sognato di muovermi tali attacchi onde fu che appunto allora, per un libretto di Giacomo Puccini, fossi chiamato io a fare il giacosa di un Oliva e di un Praga. I successi o - se meglio vuoi - la fortuna delle opere o - se meglio ti va - di quelle pochissime opere  dove entrava il mio nome fece solo insorgere contro di me una falange di critici quasi tutti librettisti e commediografi non riusciti. E io ho letta la loro brava prosa ma la mia rivincita mi fu sempre resa ad usura tutte le volte che ho veduta la loro perfettissima e preziosissima poesìa fare la più trista delle figure quando quei genî a un tanto la linea hanno tentato di mettere in pratica le loro facili teorie innanzi alla luce di una ribalta.

Rimango dunque sempre del mio avviso = La forma di un libretto la fa la musica, soltanto la musica e niente altro che la musica! = Essa sola, Puccini, è la forma! Un libretto non è che la traccia. E dice bene Méry quando sentenzia: i versi nelle opere di musica sono fatti solo per commodità dei sordi:. Per questo io nel libretto continuerò a dar valore solo e al modo di tratteggiare i caratteri, al taglio delle scene, alla verosimiglianza del dialogo, nella sua naturalezza, delle passioni e delle situazioni. Certo che anche con questo meraviglioso sistema non tutti i libretti riescono. Eh, Puccini, se questo fosse avvenuto a quest'ora io sarei già stato vittima di qualche attentato!

Un tempo (fin da quando scriveva libretti Metastasio - il quale poteva ben valere l'ultimo e più minuscolo dei gibicunghi (traduzione dal tedesco) Macchi, il carbonaro dalla nascita Carugati e il progettista per progetto e a chiacchiere il G. Pozza) sopra un libretto si scriveva = Parole del Tale =! Vi era in questo una profonda verità di fatto. Il verso nel libretto non è che una abitudine invalsa, una moda passata in repertorio proprio come quella di chiamare poeti quelli che scrivono libretti. Quello che nel libretto ha vero valore è la parola. Che le parole corrispondano alla verità del momento - (la situazione) - e della passione - (il personaggio)!- Tutto è qui, il resto è blagne.

Oggi invece il decadentismo e il dannunzianismo col corrompere la semplicità e la naturalezza del linguaggio vengono a minacciare (in teatro) la verità e la logica (che sono i due angeli custodi che ti si mettono a lato quando scrivi musica) sopratutto allorché il decadentismo ed il dannunzianismo snaturano la parola tentando d'imporre la loro = martingale = al palcoscenico. Con questo non intendo giudicare; affermo solo un fatto. Confesso quindi che non mi sarei mai aspettato da te l'osservazione che M.[aria] A.[ntonietta] non parla abbastanza da regina. Riflettici e riderai! Perché appunto M.A. fu sempre ma la donna e non la Regina, anzi: la più donna e la meno regina delle belle-frivole che hanno portato corona. Nei giorni del dolore il suo esprimersi non poteva essere che quello di tutte le donne che soffrono. Il dolore è quello che si rassomiglia sempre; ha una specie di unità di espressione ed è universale nella uguaglianza del sentimento. E poi che siamo a M.A. mi duole che la tua ultima mi costringa a riferirti un brano dell'ultima mia a G. Ricordi: (( E qui riporto a Puccini riassunta la mia riflessione scritta a Lei sul = per me di opera.)) e chiudo così la mia:

quello che importa è di lasciarci amici, e in quanto a questo io sono e rimango sempre quello di prima e per questo, anzi, alla questione finanziaria colla quale chiudi l'ultima tua tu mi permetterai di non rispondere!.....

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Da questa mia Ella comprenderà la lettera di Puccini. E io ho risposto come dovevo, e sento che rispondendo ho dette delle grandi verità. Volere o no Giacosa nella collaborazione mia portava la cosidetta = Tregua di Dio = fra me e il solito coro gracchiante contro di me - poiché Giacosa era uno dei loro. E questo non l'ho mai nascosto a Puccini. Ora Giacosa non c'è più e non se ne può fabbricarne uno.

Suo Illica

Transcription by Archivio Ricordi
Typology lettera
Sub-tipology letter
Writing manuscript
Language italian

Physical Attributes
No. Sheets 2
Size 180 X 113 mm

Letter name LLET000261